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Apriamo il discorso sul wasabi, uno dei condimenti più chiacchierati della cucina giapponese, con una grande rivelazione: quella piramidina pastosa e verde che di solito viene servita accanto al sashimi e da mescolare nella salsa di soia è un succedaneo che lo ricorda nel gusto, ma non è wasabi vero. E prima di gridare indignati al GOMBLODDO, schifando i ristoranti giapponesi che avete frequentato, anche quello “migliore di tutti” che conoscete solo voi e che suggerite a chiunque (e che ovviamente “non costa molto, e si mangia tanto…” e se qualcuno osa dire “C’E’ UN WOK ALL CAN YOU EAT BUONISSIMO” viene bandito immediatamente da questo blog, la porta è quella, sciò!), leggete quanto vi sto per raccontare.

Coltivazione di wasabi

Coltivazione di Wasabi: vedete forse delle piramidine pastose? No. Il wasabi è una PIANTA. Foto di Andrew McLucas [tokyogoat]


Il wasabi, wasabia japonica per gli amanti della nomenclatura ufficiale, è una pianta che viene coltivata in Giappone. Nell’ultimo decennio se ne sono diffuse coltivazioni in Nuova Zelanda e Australia, in Vietnam, in Cina nella regione dello Yunnan, e a Taiwan. Si tratta di una pianta acquatica molto delicata che, per crescere, necessita di condizioni climatiche specifiche e acqua corrente pura. Al di fuori delle piantagioni in terra e acqua, la si può vedere anche crescere selvatica lungo i corsi d’acqua delle montagne giapponesi (posti dove notoriamente noi italiani andiamo a passeggiare ogni domenica…).

Radici di wasabi al mercato

Radice di wasabi al mercato: i prezzi al pezzo sono in yen, togliete due zeri e all’incirca avrete il valore in euro: non è economico. Foto di hfordsa

Tutta la pianta del wasabi è commestibile: la parte che dovrebbe essere usata come condimento per il sashimi e nella preparazione di alcuni nigiri e norimaki (rispettivamente le polpettine e i rotolini di sushi con l’alga) è la sua radice fresca dal caratteristico colore verde, grattugiata partendo dalla parte più vicina alle foglie. Il problema è che cotanta freschezza e il particolare gusto che solo pochi fortunati alle nostre latitudini hanno sentito, non si mantengono per molto tempo: le radici si conservano al massimo un mese e il prodotto grattugiato perde sapore a contatto con l’ossigeno nel giro di venti minuti.

Grattugia per wasabi

La tipica grattugia per il wasabi consiste in una base in legno ricoperta da una pelle di squalo. Foto di Renés S.

In Giappone il wasabi fresco non è servito ovunque. Lo si trova solo in alcuni sushi bar e ristoranti, dove viene grattugiato con appositi strumenti (il più indicato, delicato ed esclusivo è una pelle di squalo posata su un quadretto di legno. Esistono poi altri strumenti in acciaio o plastica…).
Della già ridotta produzione di wasabi (per dare una misura, nel 2009 il Giappone ne ha scodellato circa 800 tonnellate, nello stesso anno l’Italia ha prodotto 5,7 milioni di tonnellate di pomodori*) , solo una parte della radice viene essiccata per la produzione di polvere, e in questo processo l’aroma viene quasi completamente perso.
Quello che mangiamo il 99% delle volte al giapponese e che chiamiamo wasabi, il mucchietto verde fluorescente dalla consistenza pastosa e un po’ ruvida, è di solito una mistura fatta con dei preparati in polvere mescolati con acqua e che FORSE contengono del wasabi in polvere, colorante verde, talvolta senape in polvere e TANTA polvere di… RAFANO.

Quindi, arriviamo al dunque: il caratteristico gusto del wasabi che conosciamo a queste latitudini è dato dal rafano.

I tubetti di wasabi in pasta che troviamo nei negozi a volte sono composti da una parte di wasabi fresco, una parte in polvere, e il resto sempre rafano e altri ingredienti a seconda della marca. Hanno una data di scadenza non molto estesa nel tempo e una volta aperti devono essere conservati in frigo e consumati abbastanza in fretta. Il problema è che il wasabi fresco, se c’è, molto probabilmente è rappresentato dalle parti meno nobili delle radici e viene messo solo per dare un po’ di consistenza, perché il gusto ormai se ne è andato. Il sapore che sentiamo, quello famoso che dà la botta al naso, è dato dal solito e già citato rafano.
Il rafano, o cren (in inglese “horseradish”, nome della specie Armoracia Rusticana), fa parte della stessa famiglia vegetale della wasabia japonica e la sua coltivazione è molto più diffusa. Il suo gusto è più aspro di quello del wasabi, ed è per questo che i vari preparati in polvere e in pasta sono spesso mescolati con altri ingredienti per raggiungere un gusto simile a quello del wasabi che però, a quanto leggo è più “vegetale”.
QUINDI? COSA CE NE VIENE? TUTTO STO PIPPONE PER INSINUARE IL DUBBIO CHE SIAMO VITTIME DI UNA COSPIRAZIONE ORIENTALE CHE CI SPACCIA IL RAFANO PER WASABI?
No, certo che no. Sono i giapponesi per primi a condire il cibo con “il wasabi al rafano”, anche se magari sono più al corrente di noi della vera natura del prodotto e del motivo per cui, alla fine, il wasabi fresco non viene servito in qualsiasi sushi bar o ristorante. L’importante è saperlo, e per questo basta semplicemente controllare le etichette dei prodotti che acquistiamo.
Per esempio guardate qui: questo è il wasabi in tubetto della S&B, un’azienda giapponese molto famosa e specializzata in wasabi e altre salse: il prodotto lo troviamo nei supermarket etnici e anche in molti ipermercati.

Come potete vedere non viene assolutamente fatto mistero del fatto che il primo ingrediente in lista è il rafano al 31,7%, mentre il wasabi è al 4,5%. Piuttosto non è chiaro se si tratti di wasabi fresco o in polvere, ma dalle considerazioni fatte sopra la differenza è davvero poca: il suo vero gusto ormai è andato disperso. La stessa ditta, tra l’altro, dichiara sul proprio sito di produrre per il mercato giapponese una versione del wasabi in pasta priva di coloranti. Esiste dello stessa marca una versione con maggior quantità di wasabi, ma il rafano non manca mai, neppure quando si compra il prodotto in polvere. E il gusto che sentite, è il suo.

*fonti Portal Site of Official Statistics of Japan e Informatore Agrario http://www.informatoreagrario.it/ita/Riviste/infoagri/10ia07/campagna%20pomodoro.pdf