Apriamo il discorso sul wasabi, uno dei condimenti più chiacchierati della cucina giapponese, con una grande rivelazione: quella piramidina pastosa e verde che di solito viene servita accanto al sashimi e da mescolare nella salsa di soia è un succedaneo che lo ricorda nel gusto, ma non è wasabi vero. E prima di gridare indignati al GOMBLODDO, schifando i ristoranti giapponesi che avete frequentato, anche quello “migliore di tutti” che conoscete solo voi e che suggerite a chiunque (e che ovviamente “non costa molto, e si mangia tanto…” e se qualcuno osa dire “C’E’ UN WOK ALL CAN YOU EAT BUONISSIMO” viene bandito immediatamente da questo blog, la porta è quella, sciò!), leggete quanto vi sto per raccontare.
Il wasabi, wasabia japonica per gli amanti della nomenclatura ufficiale, è una pianta che viene coltivata in Giappone. Nell’ultimo decennio se ne sono diffuse coltivazioni in Nuova Zelanda e Australia, in Vietnam, in Cina nella regione dello Yunnan, e a Taiwan. Si tratta di una pianta acquatica molto delicata che, per crescere, necessita di condizioni climatiche specifiche e acqua corrente pura. Al di fuori delle piantagioni in terra e acqua, la si può vedere anche crescere selvatica lungo i corsi d’acqua delle montagne giapponesi (posti dove notoriamente noi italiani andiamo a passeggiare ogni domenica…).
Tutta la pianta del wasabi è commestibile: la parte che dovrebbe essere usata come condimento per il sashimi e nella preparazione di alcuni nigiri e norimaki (rispettivamente le polpettine e i rotolini di sushi con l’alga) è la sua radice fresca dal caratteristico colore verde, grattugiata partendo dalla parte più vicina alle foglie. Il problema è che cotanta freschezza e il particolare gusto che solo pochi fortunati alle nostre latitudini hanno sentito, non si mantengono per molto tempo: le radici si conservano al massimo un mese e il prodotto grattugiato perde sapore a contatto con l’ossigeno nel giro di venti minuti.
In Giappone il wasabi fresco non è servito ovunque. Lo si trova solo in alcuni sushi bar e ristoranti, dove viene grattugiato con appositi strumenti (il più indicato, delicato ed esclusivo è una pelle di squalo posata su un quadretto di legno. Esistono poi altri strumenti in acciaio o plastica…).
Della già ridotta produzione di wasabi (per dare una misura, nel 2009 il Giappone ne ha scodellato circa 800 tonnellate, nello stesso anno l’Italia ha prodotto 5,7 milioni di tonnellate di pomodori*) , solo una parte della radice viene essiccata per la produzione di polvere, e in questo processo l’aroma viene quasi completamente perso.
Quello che mangiamo il 99% delle volte al giapponese e che chiamiamo wasabi, il mucchietto verde fluorescente dalla consistenza pastosa e un po’ ruvida, è di solito una mistura fatta con dei preparati in polvere mescolati con acqua e che FORSE contengono del wasabi in polvere, colorante verde, talvolta senape in polvere e TANTA polvere di… RAFANO.
Quindi, arriviamo al dunque: il caratteristico gusto del wasabi che conosciamo a queste latitudini è dato dal rafano.
I tubetti di wasabi in pasta che troviamo nei negozi a volte sono composti da una parte di wasabi fresco, una parte in polvere, e il resto sempre rafano e altri ingredienti a seconda della marca. Hanno una data di scadenza non molto estesa nel tempo e una volta aperti devono essere conservati in frigo e consumati abbastanza in fretta. Il problema è che il wasabi fresco, se c’è, molto probabilmente è rappresentato dalle parti meno nobili delle radici e viene messo solo per dare un po’ di consistenza, perché il gusto ormai se ne è andato. Il sapore che sentiamo, quello famoso che dà la botta al naso, è dato dal solito e già citato rafano.
Il rafano, o cren (in inglese “horseradish”, nome della specie Armoracia Rusticana), fa parte della stessa famiglia vegetale della wasabia japonica e la sua coltivazione è molto più diffusa. Il suo gusto è più aspro di quello del wasabi, ed è per questo che i vari preparati in polvere e in pasta sono spesso mescolati con altri ingredienti per raggiungere un gusto simile a quello del wasabi che però, a quanto leggo è più “vegetale”.
QUINDI? COSA CE NE VIENE? TUTTO STO PIPPONE PER INSINUARE IL DUBBIO CHE SIAMO VITTIME DI UNA COSPIRAZIONE ORIENTALE CHE CI SPACCIA IL RAFANO PER WASABI?
No, certo che no. Sono i giapponesi per primi a condire il cibo con “il wasabi al rafano”, anche se magari sono più al corrente di noi della vera natura del prodotto e del motivo per cui, alla fine, il wasabi fresco non viene servito in qualsiasi sushi bar o ristorante. L’importante è saperlo, e per questo basta semplicemente controllare le etichette dei prodotti che acquistiamo.
Per esempio guardate qui: questo è il wasabi in tubetto della S&B, un’azienda giapponese molto famosa e specializzata in wasabi e altre salse: il prodotto lo troviamo nei supermarket etnici e anche in molti ipermercati.
Come potete vedere non viene assolutamente fatto mistero del fatto che il primo ingrediente in lista è il rafano al 31,7%, mentre il wasabi è al 4,5%. Piuttosto non è chiaro se si tratti di wasabi fresco o in polvere, ma dalle considerazioni fatte sopra la differenza è davvero poca: il suo vero gusto ormai è andato disperso. La stessa ditta, tra l’altro, dichiara sul proprio sito di produrre per il mercato giapponese una versione del wasabi in pasta priva di coloranti. Esiste dello stessa marca una versione con maggior quantità di wasabi, ma il rafano non manca mai, neppure quando si compra il prodotto in polvere. E il gusto che sentite, è il suo.
*fonti Portal Site of Official Statistics of Japan e Informatore Agrario http://www.informatoreagrario.it/ita/Riviste/infoagri/10ia07/campagna%20pomodoro.pdf
Cristina (@Krisma_72) ha detto:
Mi è caduto un mito, grazie per queste info, ora guarderò con molta antipatia la piramidina di crema verde quando andrò al china o al jap…
Kris
unanuovavita ha detto:
…mi vergogno ad ammetterlo, ma fino a 10 minuti fa, ovvero prima di leggere questo tuo strepitoso quanto utile articolo… ecco, io…
…ero CONVINTA che rafano e wasabi fossero la stessa cosa.
potevi sentirmi dichiarare convinta “questo è wasabi, ossia rafano se traduci in italiano”
capito il mio fraintendimento????????
cioè, tutta stupida non la sono, lo sapevo che stavo mangiando rafano… ma ero convinta che rafano==wasabi… stupida no, ignorante un bel po’
grazie, grazie, grazie e ancora grazie per questo post!!!!!
RuMi Mama ha detto:
Oddio è un equivoco indotto 🙂 Del resto a tutti gli effetti stai mangiando rafano, il gusto è quello del rafano, è ovvio che ti vien da pensare che siano la stessa cosa 🙂 Sono contenta che questo post ti sia stato d’aiuto ^^
Davide ha detto:
Tutto questo mi fa venire la voglia di provare a fare i nigiri con la mostarda inglese (appunto a base di rafano come dici tu) magari sono buoni.
RuMi Mama ha detto:
Uhm, com’è la mostarda inglese?
luigi ha detto:
Bellarticolo, molto utile! Stavo facendo le mie belle letture di post pre-nanna, dove lasciare qualche commento, con la speranza di ritorni sul mio blog, quando ho letto questo articolo! Grazie delle dritte!!!
BiancorossoGiappone ha detto:
Complimenti per il blog (scoperto oggi!) e per questo ottimo articolo!
Quando dico ad altri che lo pseudo-wasabi nei tubetti e` appunto un surrogato, una tristina imitazione di quello vero …beh, incontro sempre sguardi stupiti e quasi scioccati!
Parlai tempo fa della radice di wasabi proprio sul mio blog. Ti lascio il link all`articolo in questione:
http://biancorossogiappone.blogspot.it/2008/11/udon-di-montagna-kabosu-wasabi-e-varie.html
Tornero` sicuramente a leggerti!
Mata ne!
Marianna
BiancorossoGiappone
vittorio ha detto:
ho fatto un giretto nel tuo blog , che trovo molto interessante , e mi pare di capire che tu sei li sul posto dove cresce la radice , non è che quando torni in terra italica riesci a portarti un pezzetto di radice ( precisamente il colletto della radice all’attaccatura delle foglie , 5 cm bastano ) anche con foglie recise .
sono sicuro che qua da noi attacca . Ho impiegato un pò a capire come fare attecchire il rafano , e adesso ne ho una piccola produzione che ogni 2 anni rinnovo. ne ho un tipo che si puo mangiare ” nature ” un altra che per grattuggiarla ci vuole la maschera antigas e anche all’aperto si piange anche dalle orecchie !!!! è cattivissimo , ma mi piacerebbe proprio riuscire a far attecchire una piantina di wasabi nostrano , , e nell’attesa che cresca , mangiare le foglie in insatata , quelle del rafano nostrano sono buonissime . ciao e grazie per le tue utili informazioni
barbara ha detto:
Ciao vittorio! Volevo sapere come si coltiva la radice di wasabi una volta recisa…me ne hanno riportata una ed essendo praticamente introvabile qui vorrei averla sempre fresca. ciao e Grazie. Barbara
vittorio ha detto:
anch’io nella mia beata ignoranza pensavo che fosse una qualità di fafano ,anzi sono arrivato a questo forum mentre cercavo dei rizzomi di wasabi da coltivare . ho risolto il problema ….. di rafano ne ho a bizzeffe , e anche con gradi di piccantezza diversi . , infatti ne ho un tipo coltivato in terreno argilloso che è MOLTO piu piccante del wasabi che trovo dal giapponese .
devo solo leggere bene un’etichetta e copiarlo .
grazie per il ”pippone” che ho trovato molto utile
ps) non ho ancora scartato l’idea di trovare semi o piantine di vero wasabi da coltivare in qualche corso d’acqua della valtellina . se qualcuno mi può essere di aiuto …….
Ettore Guerriero ha detto:
Bel post! Ma invece, si sa qualcosa delle proprietà nutritive di queste paste? Conservano o no le proprietà originarie sia del rafano che del wasabi? O oltre all’aroma si perdono anche queste?
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