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cina, cucina cinese, cucina islamica, expo 2015, islam, Milano, uiguri, Xinjiang
La scorsa settimana sono stata invitata a “Taste of Silk Road”, un evento di Expo 2015 organizzato dal Padiglione Cina e dedicato alla Via della Seta, l’antica strada commerciale che, nelle varie epoche, è arrivata a toccare cinquantasette paesi per terra e per mare. La natura dell’evento è stata più di rappresentanza che culturale, più mondana che gastronomica, poco “taste”, tanti “toast” e pacche sulle spalle tra cine$i e rappre$entanti del Qatar. Il motivo di tutto que$to, re$o e$plicito in conferenza $tampa, ve lo racconto tra poche righe: ne approfitto comunque per raccontarvi quel poco che sono riuscita a cogliere di una terra poco conosciuta, la regione autonoma cinese del Xinjiang** abitata dalla minoranza islamica uigura e dove la cucina rispecchia la tradizione musulmana.
Andiamo subito al dunque gastronomico, perché l’evento è stato supportato da Yershari, una catena di ristoranti di Shanghai specializzato nella cucina uigura del Xinjiang e che all’Expo cinese 2010 aveva la gestione del catering per i padiglioni islamici, e mira ad averla anche per l’Expo 2017 (Kazakistan) e Expo 2020 (Dubai), dopo esser stata confermata per questo Expo milanese: il suo fondatore, Yang Jian, ha ricevuto durante la serata il premio “China Ethnic Enterprise Pioneer”.
Purtroppo Yershari non ha organizzato anche il catering della serata, che invece era del milanesissimo Peck.
In un tavolo imbandito a scopo espositivo è stato possibile assaggiare solo due specialità della cucina uigura: un ottimo riso a chicco lungo a base di spezie e uvetta (avrei detto indiano) e delle palline di pasta fritta ammollate in uno sciroppo denso e dolce (dubito fosse miele, ma le informazioni scarseggiavano). Sono comunque riuscita a fare una carrellata dove potete distinguere spaghetti, spiedini di agnello e costolette di montone glassate, couscous, frutta. Altre specialità della cucina sono i cosciotti di agnello grigliati, il pollo con chili, l’insalata di gamberi con pitaya (è un frutto, il dragon fruit, o frutto del drago, ha la scorza rossa e l’interno bianco con semini neri).
Il folklore uiguro è stato anche rappresentato da una sfilata di costumi tipici locali che ritengo siano stati un po’ adattati e reinterpretati perlomeno nelle calzature se non in alcuni tagli che mi sono sembrati un po’ modaioli. Qui li potete vedere indossati da… delle sventolone europee 😀 Ho anche caricato su YouTube un filmato di sei minuti abbondanti “così come l’ho girato” con quasi tutta la sfilata: un fuoriprogramma su RuMi Mama che non c’entra proprio nulla col cibo ma spero faccia piacere a chi ama la moda (un saluto ai miei amici collezionisti di bambole, credo che possa piacervi!).
**Del Xinjiang attuale si può parlare sotto vari aspetti: politici, geografici, culturali, storici, religiosi, ambientali, folcloristici e anche gastronomici. Il Xinjang (letteralmente Nuova Frontiera) è una Regione Autonoma che si trova nel nord-ovest della Repubblica Popolare cinese e che confina con numerosi stati dell’Asia Centrale: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan, ma anche Russia a Nord e Mongolia a Est. Questa posizione sulla mappa dovrebbe già suscitare immagini molto diverse da quelle della skyline di Shanghai, dei palazzi istituzionali di Pechino, dei panda del Sichuan: il Xinjiang è una terra impervia, vi si trovano alte e altissime vette montuose, l’enorme deserto del Taklamakan (“Se ci entri, non esci più”), ma anche oasi e praterie. La Via della Seta passava (anche) di qua.
Chi vive in questa terra in gran parte selvaggia? I cinesi, direte voi… ma tenete presente che in Cina ci sono 56 gruppi etnici (anche se quello maggioritario, l’Han, è rappresentato dal 92% della popolazione). In particolare nel Xingjiang si concentra parte del gruppo etnico degli UIGURI, che rappresenta il 45% della popolazione di questa Regione Autonoma: in titale gli uiguri in Cina sono circa 9 milioni divisi tra il Xinjiang e l’Hunnan (dato Wikipedia). Una caratteristica degli uiguri è quella di essere di religione islamica in uno stato ateo governato da un partito che al massimo tollera, marcandola comunque stretta, qualsiasi confessione religiosa presente nel proprio territorio. E a dirla tutta, non è che gli uiguri si sentano poi così tanto cinesi: come in Tibet, esiste un movimento indipendentista e questo crea non pochi problemi al governo da un lato e solleva le attenzioni delle organizzazioni che difendono i diritti umani dall’altro (Amnesty in primo luogo).